Tra le numerose trasposizioni e rivisitazioni della favola di Collodi, non poteva mancare quella de “La Primula” associazione tra volontari e famiglie con disabili, da oltre trent’anni attiva a Centocelle. La rilettura del regista Giuseppe Vitolo ben si adatta allo spirito e alla missione dell’Associazione, da sempre attenta ad un’accoglienza della persona, valorizzando le capacità e le attitudini di ognuno, in una socialità gioiosa.
La favola originale aveva un intento educativo e moralistico proprio del suo tempo; Giuseppel’ha riletta in una prospettiva relazionale per un fine ben preciso: nessuno può crescere da solo confrontandosi con un solo modello, anche se condiviso. Ognuno può divenire persona autonoma in un contesto sociale che sappia coniugare attenzione e rispetto, fantasia e razionalità, regole e libertà, in una pluralità di esempi.
Pinocchio è un bambino “di legno” immaturo; ma circondato da attenzione e affetto, può diventare una persona in grado di dare affetto e attenzione. Pur immaturo, comprende che le relazioni dei grandi sono spesso imperfette, se non addirittura malate. Il finale è una catarsi, segno di speranza nella possibilità di recuperare i valori positivi della convivenza. Il burattino muore per salvare Geppetto e rinasce grazie alla fata (finalmente!) come bambino. Mi piace pensare che il figlio si sacrifichi come tale, per affrancarsi dal padre e nello stesso tempo per liberare il padre del suo “ruolo- prigione”.
La storia si svolge nel paese dei Legnotti, e le classiche figure della favola di Collodi vengono riplasmate: una fata… sfaticata, fa lavorare al suo posto un grillo inadatto alla magia; due ragazze dai capelli turchini, metafora dell’opera scritta che si fa azione scenica, in lite con i personaggi affannati per l’urgenza; un grilletto del Tufello alquanto impaziente; due imbranati carabinieri , incapaci di obbedire ad un preciso maresciallo, che in realtà sono il gatto e la volpe e ingannano Pinocchio grazie alla divisa; un camorrista affiancato da due maldestri tirapiedi, deciso a liberarsi di Geppetto, che si rivela alla fine suo fratello; una lumaca onesta e attenta molto più del grilletto e della fata; la maestra; Mercurio, guardiano del Teatro di Mangiafoco e delle sue marionette; Lucignolo, che lavora solo se ben ricompensato.
Il finale, con tanto di giornalista TV, tempeste e balena Mammona, ricompone e spiega ogni cosa, laddove ciascuno -anche il camorrista Gioacchino – comprende la necessità di essere uniti nelle avversità e di sacrificarsi per una salvezza comune, sull’esempio di Pinocchio.
Le battute si intrecciano, mescolando romanesco, napoletano, inglese sui generis, simbolo dell’incapacità di comprendersi e di comprendere soprattutto i bambini e i più deboli. Il ritmo incalzante, le improvvisazioni degli attori – i primi a divertirsi – diverse situazioni paradossali che strappano battimani e risate, fanno dimenticare il trascorrere del tempo e lasciano sensazioni positive, balsamo per tutti.
Molti bravi giovani attori- studenti del Benedetto da Norcia e scout – affiancano il gruppo “storico” del laboratorio di teatro integrato, composto da attori non più giovani, ma ancora sulla breccia.
Tre anni ha richiesto la realizzazione di questo progetto, a causa delle note vicende sanitarie, che ad una settimana dalla rappresentazione hanno privato la compagnia dell’Autore, regista e attore lui stesso. L’impegno e la disponibilità dell’amico Francesco a sostituire Giuseppe e di Stefania Ambrosi -volontaria e a lungo brillante regista del LaboratorioTeatrale – hanno permesso di mettere in scena l’Opera, raccogliendo applausi a scena aperta e consensi da parte del pubblico che gremiva il Teatro Roma di via Umbertide.
Maurizio Rossi 30/5/2022